Segnali verticali, segnavia semplici, segnavia a bandiera, ometti. Pali, pietre, alberi, picchetti, cippi. Una sequenza che si dipana davanti agli occhi dell’escursionista, indicando la direzione, dando rassicurazione, dissipando i dubbi agli incroci. Spesso recuperando vecchie vie, restituendo dignità e utilità a percorsi battuti per decenni o per secoli. Grazie al lavoro di volontari che curano la rete dei sentieri, lunga quanto neppure si immagina. Sentieri che vengono consegnati alla collettività, e vivranno grazie ai passi di chi li percorrerà. Che vanno a formare una infrastruttura a bassissimo impatto ambientale, di grande valore sociale, storico, culturale. Ma quei segnali dipinti di bianco e di rosso si bagnano, sbiadiscono al sole, si consumano, il bianco si ingrigisce, il rosso tende a confondersi con la pietra. L’inevitabile prezzo pagato al tempo e agli elementi naturali. L’usura fisiologica. Su quei segnali bisogna tornare periodicamente. Controllarne lo stato, se necessario armarsi di pennelli e vernici e ridare colore e visibilità. Con pazienza, con dedizione, con spirito di appartenenza. Senza dimenticare che curare un sentiero significa anche imparare ad andare in montagna. E che non guasta, tutt’altro, avere nello zaino una vecchia carta topografica, la meticolosa rappresentazione del terreno sul quale ci muoviamo, dei luoghi che attraversiamo. E una giornata dedicata a ridare colore ai segnali bianco-rossi diventa l’occasione per contribuire al bene della comunità, in cui chi sa insegna a fare e chi impara a fare scopre un aspetto inedito dell’andar per sentieri. In allegria, con il senso della socialità, in unità di intenti, per la Sezione.
Piergiorgio Iannaccaro