C’era movimento ieri sulla Strada delle Vette. Non di veicoli, poiché d’inverno la strada viene chiusa al traffico e diventa pista da fondo. Ma di fondisti, sci escursionisti, ciaspolatori, qualche pedone. Alcune decine, forse un centinaio di persone. Un numero largamente inferiore alle migliaia di persone che nello stesso giorno, nelle stesse ore, a qualche chilometro di distanza, affollavano la vetta di Monte Coppo, poco sotto il tetto della Sila, il Botte Donato. Per qualche discesa lungo le piste della Valle dell’Inferno, le uniche agibili in un inverno avaro di freddo e di neve. Per assaporare l’alta montagna, in una giornata che faceva pensare all’inizio della primavera. Una buona notizia per l’economia del luogo e per la socialità. Ma ovviamente la mia attenzione cade sullo sparuto gruppo presente dalla mattina e fin quasi al tramonto sul tracciato della Strada delle Vette, coperto da uno strato di neve neppure paragonabile a quello di altri inverni, ma sufficiente, finalmente battuto. Neve dura, cedevole solo nei tratti soleggiati, caduta in Gennaio, compattatasi sotto il suo peso, attraverso ripetuti cicli diurni di fusione e congelamento, compressa dalla tonnellata e più del gatto delle nevi. Un gruppo di adolescenti, allievi di una scuola di sci, impegnati a pattinare ordinatamente, disegnando una trama geometrica di sci e corpi. Una donna che cammina con passo regolare tenendo al guinzaglio un cane husky, sicuramente a suo agio nell’ambiente delle terre alte. Sci escursionisti, che scivolano sulla neve, con passo alternato o pattinando elegantemente, con movimenti regolari e coordinati di sci e bastoni. Uno sci avanza, un bastone spinge, e così via per migliaia di volte, approfittando dei pendii per lasciare andare gli sci. Dal valico di Montescuro sino a Macchiasacra e sino a Monte Coppo, su un tappeto gelido su cui si allungano le ombre degli alberi . Sino a incontrare la conca di Macchiasacra, dove tutto si riduce a due colori, l’azzurro del cielo, con la tonalità intensa dell’alta montagna, il bianco della neve, che acceca sotto il sole di mezzogiorno. E noi sciatori, puntini in movimento. Io vengo dallo sci alpino, abbandonato dopo un pesante tributo alla montagna. Mi sono gradualmente, e da ultimo con convinzione, convertito allo sci escursionismo, una pratica ibrida, in cui di volta in volta emergono il fondista e il discesista. E penso che vi sia una profonda differenza tra noi sci escursionisti e i praticanti dello sci alpino, o sci da discesa, per meglio comprenderci. Una differenza oserei dire filosofica. Noi sci escursionisti cerchiamo di capire il mondo che ci circonda, di coglierne le strutture attraverso l’osservazione, direi lo studio. I discesisti sono fruitori di infrastrutture, preparate ad hoc, finalizzate a un gesto atletico, che peraltro richiede lunga istruzione, lunga preparazione ed esperienza. Della mia lunga frequentazione delle piste da sci, e le più belle, quelle del Dolomiti Superski, ricordo il piacere delle lunghe discese, ma anche il clangore di ferraglia alla base delle seggiovie, con sci e bastoni che si urtavano a ripetizione, per guadagnare un posto su impianti ad altissima portata e alta velocità, l’ossessione di collezionare piste e discese, l’attenzione a livelli elevati su piste sempre più affollate, percorse da sciatori dotati di attrezzi sempre più veloci e performanti, e perciò pericolosi, l’occhio sempre pronto a guardarsi le spalle, scenari mozzafiato ridotti a quinte che scorrono veloci, appena colte dallo sguardo. Da tempo preferisco avanzare sugli sci lentamente, riuscendo tuttavia a coprire notevoli distanze. Osservando, ascoltando, attivando i sensi, registrando immagini e sensazioni, meditando. Scambiando qualche chiacchiera con i miei compagni di ventura. Fermandomi a guardarmi intorno. Conoscendo. “…Vogliamo immagazzinare natura, vogliamo appropriarci della certezza di essere anche noi parte di quel tutto…” Le parole della Montagna, Escursioni nelle vette letterarie. “ 2003, Baldini e Castoldi. Ho avuto vari maestri di sci, Alberto, Cristina, Norbert, Hermann, Karl, Marcus. Ne ricordo uno in particolare, Otto, che mi ha accompagnato sulle piste più difficili della Val Gardena. Otto si fermava spesso durante le nostre discese, ci invitava a scrutare le vette, a osservare un cirmolo, a studiare le tracce che avevamo lasciato sulla neve con i nostri sci. E’ ciò che faccio oggi. Scrutare, osservare, voltarmi a guardare le tracce delle curve alle mie spalle. Perché le cose vanno fatte bene, e senza fretta.
Piergiorgio Iannaccaro
Diciotto Febbraio 2024, da Montescuro a Macchiasacra, Sezione CAI Catanzaro.