Colloreto – Patriarca – Parco Nazionale del Pollino
E’ sempre un piacere fare visita al Patriarca, il pino loricato, che dall’alto dei suoi 950 anni e in silenzio, racconta da testimone, la storia di un millennio di uomini e di mutazioni ambientali. Già dieci secoli fa, quando gli uomini erano alle prese con le incertezze e le eresie dell’anno Mille, in pieno Medio-Evo, caratterizzato dalla rinascita spirituale, civile, culturale, politica, esso era lì. Probabilmente un sano virgulto, al centro della scena rigogliosa di un’ampia colonia vegetativa plastica, iniziava la sua crescita. Giova appena ricordare, che gli esemplari loricati che vegetano nel Geoparco Pollino, sono una specie unica al mondo. Sono i pronipoti di esemplari vegetativi scampati all’ultima glaciazione del Wurm e dividono l’esistenza sulla Terra, parlando lo stesso linguaggio, con i Loricati dell’adiacente area dei Balcani. L’escursione odierna ci ha visti dapprima protagonisti nei pressi dei ruderi del Monastero di Colloreto (1546). In circa 200 anni di vita, i monaci Agostiniani con le loro regole di vita ne fecero una congregazione potente e facoltosa, ricca di opere artistiche. Con la soppressione della Congregazione degli Eremitani di Colloreto (1809) in seguito alle leggi murattiane, il monastero fu teatro di saccheggi, dopo che le opere furono trasferite nelle chiese di Morano Calabro. A noi non resta che ricostruire con la fantasia la vita monastica, svolta in un location ideale a quei tempi per la solitudine contemplativa. Oggi due nastri d’asfalto l’hanno trafitto nelle viscere e nella quiete, lasciando in equilibrio indifferente, anche i sassi delle cinte murarie. La curiosità degli ambienti, il cammino su una storica mulattiera, usata per scambi socio economici di brevità, fra le due regioni, Basilicata e Calabria, sono stati il movente della presenza di tanti escursionisti, nonostante i capricci meteo e le asperità sormontabili solo a ritmi lenti, lungo i mille metri di dislivello. La lunga progressione non è stata mai monotona. Inizia con il sole che ci inonda di calore nella corte dei ruderi del monastero e prosegue verso il poggio dove le acque della sorgente Tufarazzi, producono una simpatica cascata, molto fotogenica. Abbandonati i raggi di sole, ci incamminiamo sulla traccia scavata alla base dei complessi montuosi di Serra del Prete e Murge Rosse. Il sole poche volte farà capolino fra le cime dei faggi; in compenso due sorgenti copiose ai margini del sentiero, sgorgano dalla roccia, rendendo l’ambiente bucolico. Oggi sono interminabili i passi che, a ritmi lenti, lungo la scala dei moranesi ci conducono, a Colle Gaudolino, che salutiamo con un sospiro di sollievo. L’abbeveratoio, con annessa fontana ci raccoglie tutti per dissetarci. Da lontano però, il gesto non è piaciuto alla schiera di cavalli multicolori dal pelo lucido; e cosi, quasi a contestare il dominio del luogo e dell’acqua, in gran carriera scendono dall’altura ad abbeverarsi di prepotenza. Ormai, il più è fatto, dopo una pausa ristoratrice, tutti in fila indiana siamo nuovamente sul comodo sentiero detto della “Signorina” che ci porterà, attraverso le quinte maestose di Serra del Prete e della Nord/Ovest di Pollino, al cospetto del Patriarca. Giunti al suo cospetto, bisogna essere più di tre per abbracciarlo, per farsi poi raccontare tutte le storie che si sono succedute sotto i suoi rami protesi a farsi largo tra i faggi invadenti, per mostrarsi in tutta la sua Maestosità. Oggi rappresenta la specie vivente più longeva, anche se nuove teorie tendono a dimostrare che non è la grandezza in genere a dire l’età, bensì le sofferenze di humus e meteorologiche che nel corso della vita gli hanno impedito di espandersi florido. Il ricordo va al Pino Loricato “Zì Peppe” dalla forma di gigante bonsai, rimasto nella memoria e adottato a simbolo del Parco nazionale del Pollino, dimostrando che gli ominidi possono essere una forza avversa letale per l’ambiente. Il Patriarca è uno scrigno vivente. Custodisce gli eventi del tempo nella sua memoria, alimentata da linfa, il cui metabolismo gli riesce a far superare inverni rigidi, con venti a momenti torcenti elevati. La sua esistenza in vita, deve essere una continua sfida di vigilanza e protezione per la conservazione della biodiversità, anche da parte di noi utilizzatori delle terre alte! Un grazie, ai soci del CAI di Catanzaro, sempre attenti alle peculiarità che la nostra montagna e non solo, nasconde nelle sue pieghe. La frequentazione della stessa la fa rimbalzare nella collettività, di chi va per monti.
Mimmo Filomia
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