Escursione di domenica 25 maggio
EURIATIKON E’ il nome della vecchia Briatico, comparso per la prima volta sul “Sigillum Aureum”, un diploma normanno risalente al 1086, custodito a Mileto, negli archivi di quella Diocesi. Euriatikon, che per evoluzione linguistica è divenuta Briatico, l’abbiamo scoperta questa domenica.
Sorge su un colle, a poca distanza dal mare, su quel tratto di costa che qualcuno ha voluto chiamare “la costa degli Dei”. Non è difficile essere ammaliati da questa terra, la Calabria è un libro di storia aperto tra le acque del Mediterraneo: è la terra del mito di Ulisse ed è più Grecia (Magna) della stessa Grecia. E’ stata bizantina , normanna, aragonese, spagnola. Un po’ “peripatetica”, cortigiana: di tutti e di nessuno! I suoi paesi hanno in fondo la medesima storia, sorti sulle colline al riparo delle incursioni saracene, col tempo furono abbandonati per abitare le marine. Giuseppe Berto, che in questi luoghi stabilì il suo “Buen Retiro”, fotografa in maniera precisa questa evidenza storica e scrive di noi calabresi :”Possiedono, tanto per dire, il mare più bello del mondo: gli voltarono le spalle al tempo in cui dal mare arrivano rapidi e violenti i saraceni a far razzia di donne, e poi continuarono a tenergli le spalle voltate anche dopo che dei saraceni non esisteva più il ricordo e nessuno più sapeva a che fossero servite le tante torri ora in rovina disseminate per il litorale.”
Quello che non fecero i saraceni lo fece la terra stessa, da sempre irrequieta, quando nel febbraio del 1783 distrusse Briatico Vecchia e determinò l’inizio del suo progressivo abbandono.Lo scrive in modo sublime Leonida Rèpaci che racconta come Dio dopo aver creato la Calabria:“ …fu preso da una dolce sonnolenza, in cui entrava il compiacimento del creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità: le dominazioni, il terremoto, la malaria, il latifondo, le fiumare, le alluvioni, la peronospora, la siccità, la mosca olearia, l’analfabetismo, il punto d’onore, la gelosia, l’Onorata Società, la vendetta, l’omertà, la violenza, la falsa testimonianza, la miseria, l’emigrazione.”
Oggi i resti della vecchia Briatico sono ancora lì, su quel colle, raggiungibili in un’ora dal piccolo centro abitato di San Cono. Il percorso è agevole, anche se la giornata afosa ci mette un po’ in difficoltà. La stradina corre lungo il torrente Murria, un’ampia ferita in fondo alla quale scorre appena un rivolo d’acqua. La stagione mostra il suo volto migliore, distese fiorite d’erba medica punteggiate da olivi, sughere e mandorli. Sullo sfondo si apre il golfo di Sant’Eufemia.Giungiamo in breve tempo ai piedi di uno spuntone di roccia che taglia il corso del fiume, costringendolo a danzare per divincolarsi, e lo risaliamo agevolmente. Le prime rovine cominciano ad affiorare in un mare di rovi, capperi e liquirizia: la cinta muraria, le torri di difesa e i ruderi del castello cominciano a prendere forma al nostro passaggio. Ben presto ci rendiamo conto di essere alla presenza di una vera e propria città che all’epoca del suo splendore poteva ospitare qualche migliaio di abitanti.In Calabria ogni paese ha la propria rovina, il proprio castello, le proprie mura, la cui memoria è magari nascosta dalla vegetazione, dal velo impietoso del tempo che scioglie i ricordi degli uomini. E’ assurdo come una tale concentrazione di beni archeologici non generi nessuna economia: siamo stati distratti per decenni da un concetto di sviluppo distorto, legato all’industria e ora a poca distanza da queste rovine sorgono le nuove, cioè i resti di tutti quegli insediamenti che avrebbero dovuto segnare il decollo della Calabria. Abbiamo mentalmente rimosso il nostro passato, rifletto mentre salgo, e abbiamo legato la speranza del nostro futuro a modelli di sviluppo che non sono i nostri. Mi vengono in mente ancora gli scritti di Corrado Alvaro:“I calabresi mettono il loro patriottismo nelle cose più semplici, come la bontà dei loro frutti e dei loro vini. Amore disperato del loro paese, di cui riconoscono la vita cruda, che hanno fuggito, ma che in loro è rimasta allo stato di ricordo e di leggenda dell’infanzia.”
Accennavo prima alla “Costa degli Dei”, denominazione abbastanza recente che identifica la costa da Pizzo a Nicotera. E’ di qualche anno fa la polemica tutta giornalistica sull’opportunità di modificare o mantenere questo nome, ma forse non è nemmeno questo il problema, forse ha ragione Antonio Preiti, economista e studioso, già presidente dell’Apt di Firenze che, scrivendo di questi luoghi, afferma: “…non hanno bisogno di Dei, ma di sacerdoti del turismo”. La Calabria ha ancora speranza? …Forse… Raffaele Arcuri
Foto dei soci: Gabriele Fera e Raffaele Arcuri
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