Ci sta una terra di nessuno, da qualche parte nel cuore,
come un miraggio incastrato, tra la noia e il dolore
F. De Gregori
Domenica 15 Dicembre, ore 10,00.
Ci ritroviamo nella piazza principale di Badolato per un trekking urbano nel borgo storico. L’escursione di fine anno e il pranzo sociale rappresentano un momento di convivialità per il Club Alpino di Catanzaro: siamo quasi in 60 su questa splendida terrazza che si affaccia sul mare.
Badolato è uno dei tanti borghi calabresi, adagiati su alture da sempre instabili, a due passi dalle acque del litorale Jonico.
La giornata non è delle migliori, sopra di noi una sottile coltre di nubi, ma guardare quello scorcio di mare induce serenità.
La luce non aiuta, solo pochi raggi di sole riescono a filtrare dalla cappa grigia che ammanta questa tiepida giornata di Dicembre, ma comincio ugualmente a scattare qualche foto, mentre il gruppo si compatta.
Nel frattempo su quella piazza semideserta un signore solitario, su una panchina, col suo pc, chatta probabilmente con un’altra parte di mondo, incurante del gruppo che si stringe attorno alla nostra guida.
Marco inizia a raccontare e, pian piano, davanti a noi, su quella spianata , comincia a prendere vita la storia del borgo. Lo seguiamo poi in silenziosa processione e ci infiliamo da subito in un intricato dedalo di viuzze, tra case in rovina e recenti restauri.
Mi vengono in mente le parole di Guido Ceronetti:
“C’è qualcosa di immorale nel non voler soffrire per la perdita della bellezza, per la Patria rotolante verso chi sa quale sordido inferno…”.
Risaliamo ancora, e i vicoli stretti e tortuosi si arrampicano sull’altura disegnando una figura ellittica: ragnatele di stradine che all’improvviso si affacciano su piccole piazzette, palazzi signorili, stemmi nobiliari e umili abitazioni convivono ammassati come in un particolare presepe.
Molte chiese, tutte chiuse e un silenzio che ferma il tempo, rotto soltanto dai rumori del nostro rispettoso passaggio.
Mi allontano dal gruppo per poterlo fotografare, poi mi fermo a ricordare altre parole, stavolta quelle di Pasolini:
“Le cose essenziali, nuove, da costruire, non dovrebbero essere messe addosso al vecchio. […]Quel che va difeso è tutto il patrimonio nella sua interezza. Tutto, tutto ha un valore: vale un muretto, vale una loggia, vale un tabernacolo, vale un casale agricolo. Ci sono casali stupendi che dovrebbero essere difesi come una chiesa o come un castello. Ma la gente non vuol saperne: hanno perduto il senso della bellezza e dei valori. Tutto è in balìa della speculazione.Ciò di cui abbiamo bisogno è di una svolta culturale, un lento sviluppo di coscienza.”
Era il 22 settembre del 1974, sono passati quasi 40 anni da quando Pasolini scrisse queste parole sul Messaggero: in Calabria quella svolta culturale e quel lento sviluppo della coscienza non sono ancora arrivati.
Sembra che d’estate il paese si riempia di turisti, soprattutto stranieri che stanno acquistando le vecchie case, ma oggi sembra proprio abbandonato: soltanto qualche signora anziana incrocia la nostra folla o s’affaccia ad una porta.
La nostra guida ci fa percorrere gran parte del paese fino all’estrema propaggine est dell’altura. Alla fine della lunga scalinata in pietra ci soffermiamo sul sagrato della Chiesa dell’Immacolata. Ora siamo più vicini al mare e lo sguardo cade sulla costa, sul paese nuovo, sorto a partire dagli anni 50 del secolo scorso, grazie soprattutto alle rimesse degli emigrati.
Risaliamo costeggiando il lato nord dell’abitato.
Mentre affrontiamo l’ultimo tratto di strada il volto di una donna fa capolino da una finestra. Io azzardo e, senza chiedere il permesso, scatto una foto. Mi sento un po’ in colpa come se le avessi sottratto qualcosa. C’è chi crede che con una foto si possa rubare l’anima, ma forse scattando quella foto ho creduto soltanto di poter recuperare un brandello della mia.
Dopo quasi due ore, il nostro itinerario, disegnato con estrema abilità dal nostro amico Marco, ci riporta nuovamente in piazza.
E i curdi arrivati qualche anno fa? Ormai sono rimasti in poche decine, la stragrande maggioranza è ripartita verso altri luoghi, forse meno romantici ma gravidi di futuro.
Badolato è ancora il sogno di allora? Non saprei rispondere, forse non lo è più.
Ma cosa sarebbe la vita senza le utopie, le illusioni, le speranze coltivate quotidianamente, gli atti di fede irrazionali? Affidarsi a queste cose è un rischio ma forse, per la nostra terra, è l’unica scelta possibile.
E’ ancora un sogno per molti stranieri che hanno investito qui, ristrutturando con molta cura alcune abitazioni. Forse non lo è per i nostri politici che preferiscono spendere decine di milioni di euro per costruire sciovie, deturpare montagne e ricalcare modelli di sviluppo che con la nostra terra nulla hanno a che fare.
Nel frattempo il ventre della Calabria muore e con esso, forse, anche una parte di noi.
Raffaele Arcuri
Accompagnatore: Marco Garcea
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