Manfriana

“A due passi dal cielo”

Un’altra domenica in montagna. Questa volta nel Parco del Pollino, tra i Comuni di Frascineto e Civita, oasi di cultura Arbereshe. La nostra meta è la Manfriana Orientale, 1981 metri slm, sulla cui cima sono stati ritrovati blocchi di pietra squadrati, probabilmente i resti di un punto di avvistamento o di un tempio eretto dalle popolazioni italiche fra la fine del V e l’inizio del IV sec. a.c. Partiamo alle 9,00 e l’escursione si prospetta già molto impegnativa per il rilevante dislivello da affrontare e per il caldo che non ci dà tregua. Dopo un breve tratto di strada asfaltata l’orizzonte si dischiude su un vasto altopiano che risaliamo liberamente. Ci colpiscono da subito i profumi dell’erba, i fiori multicolori, disseminati su una distesa infinita d’aspetto carsico, e i numerosi cavalli che pascolano tranquillamente a poca distanza da noi. Il panorama comincia ad aprirsi e con esso la nostra anima: da un lato, imperiosa e distante, appare la cresta che ci condurrà alla vetta e dall’altro la vista spazia sulla valle del Coscile, percorsa dal lungo serpente autostradale.Qualcuno dice: “Per me è questa la vera montagna!” Prendiamo di petto il ripido pendio e ci accorgiamo subito che non sarà una giornata facile: il dislivello si fa sentire, ma dopo quasi tre ore di salita guadagniamo la dorsale. Una breve digressione verso est e tuffiamo letteralmente il nostro sguardo nelle azzurre acque del mar Jonio. Non so quante altre regioni italiane possano regalare questo incanto: in alto ancora chiazze di neve e poco più in giù le acque del Mediterraneo. La giornata è calda e una leggera foschia vela l’orizzonte, ma il panorama è impagabile. Dopo aver compattato il gruppo siamo già alle prese col lungo crinale che ci condurrà alla vetta. Un saliscendi che in poco meno di un’ora ci conduce, tra rocce, chiazze alberate e resti di impianti a fune d’acciaio, utilizzati in passato per “smacchiare” il legname, alla base della parete finale. Siamo sfiniti ma raggiungere la vetta è un desiderio fortissimo e condiviso. Ci arrampichiamo lenti ma decisi e, dopo mezz’ora raggiungiamo finalmente la sommità del monte. Lo spettacolo è a dir poco incantevole: a sud la valle del Coscile, a ovest le cime dell’Orsomarso tra la nebbia, a Nord il Dolcedorme, ancora chiazzato dalla neve e a est la via dell’infinito, la lunga cresta rocciosa appena percorsa che punta diritta verso quel mare che un tempo fu solcato dai primi coloni provenienti dalla Grecia e che, a metà del XV secolo, fu percorso da Giorgio Castriota Scanderberg. Solo mezz’ora di sosta, sufficiente per ristorarci e per dare un’occhiata a quei massi la cui origine è ancora avvolta nel mistero, e poi giù, ad affrontare l’interminabile discesa, prestando attenzione ad ogni passo. In poco più di tre ore guadagniamo le macchine, con i piedi a pezzi ma contenti per essere stati, anche se solo per pochi minuti, a due passi dal cielo.

                                                                                                                                                                                         Socio Raffaele Arcuri