Simeri Crichi: un viaggio nella storia e nella spiritualità
Simeri Crichi è un comune della provincia di Catanzaro di origine greca che diede i natali a San Bartolomeo da Simeri, fondatore del monastero di Santa Maria Odigitria o Patrion a Rossano e seguace del monaco basiliano San Nilo, altro santo calabrese, che coadiuvò nel costruire l’abbazia di Grottaferrata alle porte di Roma.
Crichi fu fondato nella seconda metà del XVIII sec. probabilmente da un gruppo di contadini di Sellia, mentre la frazione Simeri è la più antica; attorno alle casette arroccate su una collina sono emersi una serie di reperti della prima metà del ferro e del periodo magnogreco. L’etimologia di Simeri è avvolta nel mistero, mentre Crichi deriva dal greco “Krichi”, “luogo nascosto”, probabilmente per la sua posizione. Da ricerche effettuate da un team coordinato dal prof. Citter, archeologo internazionale, è emerso che il territorio attorno a Simeri Crichi ha oltre 60 siti di interesse archeologico.
Il nostro viaggio nella storia organizzato dai soci Marco, Alessandro e Giampiero, inizia dal castello bizantino di Simeri risalente al X secolo d.C. che domina sulla valle del fiume Simeri e il golfo di Squillace, in posizione strategica e suggestiva, testimone di oltre mille anni di storia. Lorenzo, giovane archeologo e appassionato conoscitore dei luoghi, ci guida attraverso le vestigia di quel che resta del Palacium Castri, dimora del signore e centro nevralgico del suo potere, e delle mura di cinta. Nel corso dei secoli ha subito diverse modifiche e ampliamenti passando sotto il controllo dei normanni, svevi, angioini e aragonesi. Suggestiva è la torre cilindrica, in posizione strategica per scorgere e inviare alla popolazione i pericoli emessi dalle altre torri della zona, tra le quali quella della vicina Zagarise. Fumo di giorno o fuoco di notte, erano i segnali per poter fronteggiare il nemico e consentire agli abitanti di armarsi o di fuggire. E anche qui, come in ogni castello del mondo, si celano misteri e leggende, tra le tante si racconta della presenza di un tunnel segreto che conduceva direttamente al mare, forse un passaggio per la fuga in caso di invasione.
Il cammino continua nella vicina Chiesa di Santa Maria dell’Itria, conosciuta anche come Collegiata. Fondata tra il 1121 e il 1198 sotto la signoria dei Falluc, il complesso monumentale ha avuto un ruolo centrale fino al 1800, quando deteneva il beneficio dello juspatronatus, il diritto di eleggere le cariche ecclesiastiche. Originariamente la chiesa era composta da tre navate e tre altari; in una rappresentazione su mappa ricostruita dopo studi effettuati dall’associazione APS Asperitas diretta dall’archeologo Lorenzo Antonio Chiricò, si mostra somigliante al Duomo di Catanzaro. Il terremoto del 1744 ne ha ridotto gran parte alla rovina, e la struttura attuale si presenta con una navata unica, mentre il tetto e la facciata sono crollati nel 1905 a causa di un altro violento sisma.
Scendendo tra le strette viuzze raggiungiamo l’antico quartiere della Grecìa dove si trovano le grotte di San Bartolomeo o dei Santi, scavi rupestri ricavate nell’arenaria, probabili celle o chiese ipogee di più vani abitate sin dall’età neolitica. Al suo interno vi erano giacitoi di pietra, reclinatoi che servivano da letto, nicchie ripostiglio, pietre sporgenti adoperate dagli eremiti come porta lucerna e l’icona Achiropita Theotokos (Madre di Dio) e degli Evangelisti. Guardandosi attorno, circondati dalla macchia mediterranea e dai colori delle fioriture primaverili, il pensiero ci riporta a quei monaci che al sorgere del sole, affacciati alle loro grotte cantavano inni al Signore; un’esperienza che evoca silenzi e devozione, in cui il tempo sembra fermarsi e il divino si fonde con la natura circostante. Qualche anno fa i monaci ortodossi del monastero di Bivongi raggiunsero questi luoghi per pregare. Per preservare queste aree è in corso un progetto per un parco archeologico urbano.
Nei pressi di una necropoli in località “Donnomarco” è stata rinvenuta una perfetta riproduzione di scarabeo in pietra dura di ametista, con vivaci colori verdi e rossastri e con lettere d’iscrizione mai decifrate (pseudo geroglifici d’imitazione fenicia o cartaginese), che rimandano a un totem o a castoni d’anello a sigillo o anche a pezzi di collana. Lo scarabeo si trova nel museo provinciale di Catanzaro. Per Domenico Topa (Civiltà preistoriche della Brettia) si tratterebbe di uno scarabeo egizio che porta il nome del grande faraone della XVIII dinastia Tutmosi III, che regnò verso il 1500 a C. Lo scarabeus sacer era legato al culto magico della rinascita e della fertilità, contenendo il principio androgino del sole e della luna, della nascita e del nutrimento. Era anche sigillo e “lasciapassare” per il giudizio nell’oltretomba.”
Nel pomeriggio visita ai ruderi del Convento dei Cappuccini, dedicato a Santa Maria degli Angeli, costruito su concessione e a spese del Principe Borgia di Squillace nel 1594. Con 13 celle e una chiesa monumentale era sede di noviziato. Soppresso nel 1784, nel 1826 riprese a vivere grazie al contributo dei frati e della popolazione locale e divenne anche ricovero per viaggiatori e mendicanti.
Concludiamo il nostro viaggio a Crichi, con la visita della chiesa parrocchiale dedicata al patrono San Nicola e del panoramico centro storico che in estate, grazie al laborioso lavoro della proloco locale, si colora di originali creazioni artigianali che appassionano i visitatori.
Qui, dove ogni pietra racconta una storia, ogni angolo un culto e ogni vicolo un viaggio nel tempo lasciamo le orme dei nostri passi e un pezzo di cuore. Simeri Crichi non è solo un luogo da visitare; è un’esperienza che ti avvolge tra archeologia, storia e spiritualità. Un prezioso tesoro inestimabile da vivere, conoscere e preservare.
Marco Garcea – Accompagnatore di Escursionismo
