«La nostra iper-estate» a cura di Piergiorgio Iannaccaro
La siccità ha prosciugato le sorgenti, gli alberi sono disorientati dalla luce e dalle temperature elevate
«E la chiamano iper-estate. Un neologismo che descrive le estati del nuovo millennio, esagerate, lunghissime, ipertrofiche. Con temperature sopra la media, e non poco. Caldissime e assolate, ma capaci di produrre temporali devastanti. Iniziano già a maggio, procedono indisturbate sino a Ottobre, senza incertezze, al più disposte a concedere brevissime parentesi, seguite immediatamente dall’espansione dell’anticiclone africano. Un mostruoso fiume di aria calda che dal deserto del Sahara scorre sino alle latitudini dell’Europa settentrionale. Uno stravolgimento della circolazione atmosferica ormai consolidato, verosimile conseguenza del cambiamento climatico e delle sue cause. Opera dell’uomo, protagonista unico dell’assalto al pianeta e alle sue risorse. E se l’estate deborda l’autunno si è ridotto a una parentesi insignificante, con le foglie che cadono mentre gli irriducibili si attardano ancora sulle spiagge. È la fine di ottobre del 2022 quando salgo lungo i tornanti che conducono al Rifugio della sezione Cai di Catanzaro, nel cuore del Parco Nazionale della Sila. Poco prima di Ciricilla le fontane che sono garanzia quasi permanente di acqua fresca sono secche. Nei pressi del Rifugio un solco profondo nella terra indica che lì dovrebbe esservi un corso d’acqua, il Pisarello, in realtà ridotto a qualche pozza isolata. Pochi giorni dopo, ed è già novembre, molti faggi conservano numerose foglie verdi sui rami. La siccità ha prosciugato le sorgenti, gli alberi sono disorientati dalla luce e dalle temperature elevate. All’iper-estate si contrappone una stagione che potremmo definire semi-inverno. O forse, con un neologismo più calzante, sub-inverno. Nulla a che vedere con gli inverni di non molti anni fa che portavano già in Novembre freddo e neve in Sila. Le nevicate erano frequenti, il manto nevoso resisteva sino a Marzo, il disgelo era graduale. Inverni lunghi e generosi, lassù sulle terre alte, tali da consentire la sopravvivenza di una minuscola stazione sciistica, in quel di Ciricilla, ad appena 1400 metri sul livello del mare. Poche centinaia di metri dalla cima di Monte Pietra Posta sino a un ampio spiazzo animato da un Rifugio. Un impianto minimale, ma favorito da una buona copertura nevosa dall’inizio dell’inverno sino alle porte della primavera, qualche migliaio di lire per un biglietto giornaliero e discese assicurate sino a quando la noia non aveva il sopravvento. Un luogo ove la neve scarseggia da molti anni, ridotto a un edificio in rovina e a una serie di piloni che ricordano gli inverni che furono. A poche centinaia di metri la Valle di Ciricilla, che procede verso levante, sino a Verberano. In tempi relativamente recenti la percorrevamo con gli sci, scivolando su parecchie decine di centimetri di neve. Da anni la neve, quando cade, raramente riesce a coprire la bassa vegetazione della valle. L’inverno degli anni venti del terzo millennio è una fortezza assediata da una stagione calda invadente. L’immagine sempre più sbiadita di quella cartolina fatta di guanti e di fiocchi di neve in cui sono vissuto da bambino, da ragazzo, ancora da giovane adulto. La testimonianza drammatica di quanto accade sui monti e alle latitudini più elevate del pianeta. I ghiacciai agonizzano, stremati dalla pochezza delle nevicate invernali e dalle assurde temperature dell’iper-estate, vittime della rottura dell’equilibrio tra apporto di neve a monte e scioglimento a valle. I ghiacci polari si riducono di estensione e spessore. Le stagioni andrebbero ridefinite, la loro durata e la loro fisionomia sono profondamente cambiate. Con conseguenze già evidenti sugli ecosistemi, messi a dura prova da un cambiamento troppo veloce, troppo vistoso. Di fatto all’iper-estate fanno seguito il mini-autunno, il sub-inverno, una fugace primavera. Mentre la nostra mente fatica ad adeguarsi al nuovo corso delle cose e prosegue nella scansione delle stagioni che si è stratificata nel corso di millenni. E così le vetrine dei negozi di abbigliamento espongono già maglioni e capi pesanti, da qui a qualche settimana esporranno alberi di Natale addobbati e proporranno anteprime di panettoni e torroni. Forse abbiamo bisogno di continuare a credere nell’immagine di un mondo che era fortemente ancorato al fluire delle stagioni, ai loro riti, alla loro precisa collocazione nel tempo. Nonostante tutto. Nonostante le stagioni non fluiscano più, nonostante l’iper-estate che imperterrita fagocita autunno e inverno, seriamente intenzionata ad annullarli e a identificarsi con l’intero anno solare».