Sul monte Sellaro
Siamo in cammino da quattro ore quando usciamo dal bosco e raggiungiamo la sella pietrosa che separa la mole obliquamente incisa del Monte Pannobianco dalla piramide del Monte Sellaro. Elevazioni modeste, di poco superiori ai millequattrocento metri, ma impegnative. Tra noi e la vetta del Sellaro qualche centinaio di metri, con pendenza progressivamente crescente, disseminato di sfasciume di rocce. Da una parte le vette del massiccio del Pollino, alle spalle la piana di Sibari e all’orizzonte l’altipiano della Sila. Con passo lento inizio l’ascesa, cercando le linee migliori. Assediato da nugoli di mosche, il cui ronzio mi fa pensare a squadre di caccia in avvicinamento, l’obiettivo il mio copioso sudore. E’ una di quelle occasioni che mi pongono una domanda annosa alla quale, ci crediate o no, non ho trovato dopo decenni una risposta organica e convincente. Il senso dell’andare in montagna. Il senso di una condizione faticosa che richiede il reclutamento delle migliori risorse psico-fisiche. Le risposte possibili sono tante e in passato le ho trovate, le ho messe in fila, le ho archiviate. Ma ciò che io cerco è il senso profondo. L’arrivo in vetta, poco più di un piccolo spiazzo, è accompagnato dai rituali noti, il panino, il silenzio di alcuni che si appartano a fissare vedute inimitabili, le foto di gruppo, questa volta impreziosite da una bandiera arcobaleno percorsa dalla parola pace. La discesa non è meno faticosa della salita, i quadricipiti femorali sono impegnati in un lavoro antifisiologico, il paradosso della contrazione con allungamento, la contraddizione tanto più evidente quanto maggiori sono l’inclinazione del terreno e l’altezza degli ipotetici, sconnessi gradini sui quali scendiamo. Un paio di sere fa leggevo le pagine di un noto alpinista. Vi ho trovato un’idea originale e interessante, la vera impresa è scendere dalle montagne per affrontare i problemi comuni. E’ un ottimo stimolo alla riflessione. La montagna ha il valore che noi le attribuiamo. La montagna è uno stato d’eccezione della nostra dimensione umana e sociale. La stragrande maggioranza di noi vive in pianura o in collina e chi di noi sale in montagna abbandona temporaneamente il teatro della quotidianità. Compiendo un viaggio di scoperta del proprio paesaggio interiore prima che di paesaggi fatti di boschi e di vette. Alla fine di questo breve viaggio guadagniamo, sia pur temporaneamente, uno stato di riassetto interiore, favorito dalla soddisfazione di avere percorso ambienti non amichevoli, se non francamente ostili, trovando nei passi di chi ci precede la motivazione per andare avanti, sino alla meta desiderata. Realizziamo uno scopo effimero, solo apparentemente inutile, in realtà verifichiamo risorse nascoste, attingiamo ad un equilibrio necessario alla bisogna, abbiamo prova di quanto sia utile avere accanto compagni di viaggio. Quando usciamo da questa breve digressione nello stato di eccezione, possiamo, dobbiamo tornare alle sfide della nostra esistenza. Quella che si svolge nei contesti sociali abituali, nei luoghi della vita corrente. Arricchiti da un’esperienza non abituale. Che ci ha mostrato, tra l’altro, il valore della perseveranza. O quanto sia importante la ricerca della giusta via verso la meta. Raggiungere una vetta è un obiettivo ambizioso, che consiglierei a molti, ma la vera sfida è ormai sopravvivere in un mondo che gli umani si stanno perversamente ingegnando a rendere inospitale. Improntato a modelli dilaganti di ambizione e competizione. Percorso da angosce. Ignaro di problemi epocali come la crisi climatica e la sostenibilità di uno stile di vita eccessivo che demolisce il pianeta. Da un paio d’anni, con lo sbarco massiccio del Coronavirus nelle nostre vite, pare che molte persone si siano avvicinate alla montagna. Quanti di loro hanno colto il senso di questa scelta? Quanti hanno colto la possibilità di andare al di là della dimensione ludica e comprendere che la montagna può aiutare? Io continuo a cercare in profondità. Con l’unica certezza che desidero tornare in montagna appena sarà possibile.
Massiccio del Pollino, Maggio 2022.
Piergiorgio Iannaccaro