Alberi: esseri viventi complessi. Umani: irresponsabili attentatori dell’equilibrio
C’è indiscutibilmente una dimensione estetica della natura. E mi affascina la dimensione estetica dei boschi. Quella austera dei boschi di conifere. L’estetica solare delle faggete in primavera. Su tutte l’estetica estrosa, quasi sfrontata di un bosco in autunno. La ritirata delle piante a foglie caduche dopo una stagione di intensa fotosintesi clorofilliana si compie attraverso un’esplosione caleidoscopica di colori. Un fenomeno fisiologico che segna il passaggio verso l’inverno, verso la pausa legata ai rigori della stagione fredda. E di cui tanti si sono accorti in tempi recenti. Lo chiamano foliage, con una di quelle semplificazioni linguistiche legate all’essenzialità della lingua inglese e al pragmatismo anglosassone.
La parola fogliame (foliage) e la caduta delle foglie (fall of the leaves) per riassumere l’autunno (fall) in uno dei suoi aspetti più vistosi è l’andare in giro, fare un viaggio per ammirare i colori autunnali. Il foliage ormai spopola sui media e completa con Halloween e il Black Friday la triade di consuetudini americane di cui non avevamo bisogno e che abbiamo importato acriticamente. Sostituendo rituali che alle nostre latitudini hanno radici e significati profondi con banali iniziative commerciali. Rischiando di ridurre i boschi alla quinta artificiale di uno scenario da Disneyland.
E invece l’autunno è l’occasione per andare per boschi e valli e tentare di cogliere la profonda dimensione di quell’ambiente naturale. Dal mio punto di vista l’occasione per ri-dimensionarmi. Spogliarmi della mia dimensione di uomo urbano, aduso ad ambienti fortemente antropizzati, e tentare di cogliere la mia essenza di essere vivente in cammino tra una moltitudine di altri esseri viventi.
Perché questo sono gli alberi, esseri viventi di notevole complessità. Responsabili dell’equilibrio planetario tanto quanto gli umani sono irresponsabili attentatori di quello stesso equilibrio. Ammirevoli protagonisti di una vita sociale, capaci di cooperare grazie ad enormi reti simbiotiche con i funghi che vivono nel sottosuolo.
In una domenica di autunno inoltrato mi muovo sui miei monti, catturando ad ogni passo i colori e la loro luce, cercando di fare mia la serenità ispirata dalla veste policroma temporaneamente assunta dalla grande società di faggi, betulle, aceri. E la mia mente ritorna a un pensiero ricorrente, la fragilità di queste grandi famiglie arboree, pari solo alla loro bellezza e alla loro complessità. Coinvolte nella crisi climatica alla pari di noi umani e di qualsiasi altra specie.
“…È inequivocabile che l’influenza umana abbia determinato il riscaldamento di atmosfera, oceano e terra. Si sono verificati estesi e rapidi cambiamenti nell’atmosfera, nell’oceano, nella criosfera e nella biosfera…”. Così recita il sesto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change. Senza lasciare adito a dubbi su una realtà nota ormai anche alle pietre. E di cui i grandi della terra sembrano occuparsi e preoccuparsi nei vari G20 e COP26 che riempiono le cronache di questi giorni.
Ma non basta se non matura una coscienza diffusa del disastro incombente. Non basta se non v’è la consapevolezza che è necessario cambiare il paradigma della crescita continua e della dipendenza delle nostre sorti dal PIL. Che molto misura, ma non la qualità della vita. Eppure leggo su un’importante rivista che le banche europee e italiane sono piene di attività finanziarie legate alle fonti energetiche fossili e ovviamente una rapida realizzazione di politiche di azzeramento delle emissioni di CO2 le porterebbe alla rovina. Al momento l’obiettivo delle emissioni zero sembra più uno slogan che un serio intento. E il pianeta soffre in misura sempre maggiore. E noi perseveriamo nella convinzione che la terra sia un comodo appartamento da utilizzare a nostro piacimento.
Mentre mi muovo nell’alternarsi di boschi e vallette tipico della Sila Piccola, il sole si fa largo a tratti tra le nubi creando chiazze di colore ruggine contro il cielo livido, adagiate sul verde tenue dei prati tardo autunnali. E come accade in montagna in pochi minuti la nebbia sale discreta, sfumando gradualmente il tripudio di colori sino a fargli velo. La montagna ci ha concesso la gioia di poterla ammirare nella sua veste autunnale, la montagna si ritrae assumendo uno dei suoi molteplici aspetti. Lo scrittore inglese John Fowles, nel suo saggio “L’albero”, paragona i boschi alla successione delle pagine e dei capitoli di un romanzo. La mia montagna, come sempre, mi ha mostrato alcune delle sue pagine più belle.
Piergiorgio Iannaccaro presidente del CAI di Catanzaro