Tra i boschi del Reventino – riflessioni
Nei giorni in cui l’attenzione della nazione è quasi esclusivamente dedicata all’obbligatorietà del greenpass mi giunge l’invito di Francesco Bevilacqua a partecipare, in veste di presidente della sezione di Catanzaro del CAI, a un cammino attraverso i boschi del Monte Reventino, percorsi appena un paio di mesi fa dal fuoco di incendi ripetuti e devastanti. Accetto senza esitazioni, non solo sono socio di un’associazione, la più grande, che ha come scopo la conoscenza e la tutela dell’ambiente montano, sono soprattutto un cittadino offeso dallo scempio della propria terra e un ambientalista convinto. E ricordo bene quei giorni di caldo estremo in cui Catanzaro era assediata dalle fiamme che hanno distrutto decine di ettari del Bosco dei Comuni, patrimonio verde della mia città. E i castagneti e le pinete del Reventino. E i boschi vetusti d’Aspromonte. Era il 10 Agosto quando poco dopo mezzogiorno il cielo a ponente ha assunto una tinta giallognola e la cenere trasportata dal vento ha cominciato a cadere su persone e cose, quella che in uno scritto precedente ho definito la neve di Ferragosto. Ma la memoria è corta e quasi nessuno ricorda più i giorni delle fiamme e della devastazione, soprattutto adesso che giornate sempre più corte e il freddo precoce d’Ottobre ci stanno traghettando verso la pienezza dell’autunno. E in una mattina fredda e ovattata da volute di nebbia ci ritroviamo poco sotto la vetta del Reventino. In tanti, membri del FAI e di associazioni, sindaci, appassionati di montagna. E questo è il primo segno che la speranza non è perduta. Mi conforta la presenza di tanti giovani, i protagonisti del futuro che verrà, una rappresentanza della moltitudine di coetanei che da un paio d’anni ci ricordano che abbiamo un solo pianeta su cui vivere. E che abbiamo il dovere di preservare nelle condizioni meno peggiori possibili a beneficio delle generazioni che verranno. “…Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?…” è quanto si chiede Papa Francesco nella Lettera Enciclica Laudato Sì, e aggiunge “…Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi…” La nebbia che a tratti si alza lascia intravedere i fianchi della montagna che paiono un mosaico in cui al verde degli alberi sopravvissuti all’incendio si alternano le tinte spente delle piante aggredite dalle lingue di fuoco. Un osservatore distratto e inconsapevole potrebbe scorgervi la fantasia dell’autunno, ma la realtà è quella della scena di un delitto. Compiuto a danno di nostri amici, quegli alberi che disegnano la grazia del paesaggio, trattengono con le loro radici il terreno, danno ospitalità alla fauna, assorbono enormi quantità di CO2. Una distopia, l’anteprima sgradita di un mondo sempre più probabile. Il cammino si snoda su uno stretto sentiero sotto il quale la montagna degrada a valle con ripidi costoni. Sfiliamo accanto a tronchi anneriti, dall’alto pendono foglie di castagno sbiadite e accartocciate dal fumo. E di nuovo un segno di speranza, le felci rinate nel sottobosco che verdeggiano nonostante tutto, le fioriture di ciclamini. La natura che riprende il suo corso e ripara in mesi, anni, decenni. La natura che sopravvivrà, la natura che sopravvivrà a noi. Coerente con l’etimologia latina supra vivere, la natura vivrà ben al di sopra delle nostre malefatte. Perchè il fuoco che distrugge è nato dalle mani dell’uomo. E si alimenta dell’indifferenza dei più, per i quali le montagne che bruciano non sono altro che un’immagine rilanciata dagli schermi televisivi o postata sui social, gli alberi secolari consumati dal fuoco la notizia di un mondo remoto, sconosciuto e perciò inesistente. Lo devi vedere un tronco nero e spezzato per capire e, perché no, per soffrire. Dalla vetta del Reventino la vista spazia su monti e valli, la mente davanti alla vastità si apre a comprendere la grandezza dell’ambiente naturale. E intuisce il valore della sua tutela. Non lo sappiamo o più concretamente facciamo finta di non sapere ma quei boschi cancellati dal fuoco hanno impoverito le nostre vite. E hanno rovinato la nostra casa. Dovremmo imparare ad andare per monti e per boschi. Perché come recita il titolo di una raccolta di racconti di John Muir, ambientalista scozzese-americano ante litteram, inventore dei parchi nazionali, “…Andare in montagna è tornare a casa…”
Piergiorgio Iannaccaro – Presidente Cai Catanzaro