SULL’ORLO DELLA FRANA
“Sulle cime più alte ci si rende conto che la neve, il cielo e l’oro hanno lo stesso valore” Boris Vian
Il Dolcedorme si presenta a noi come il prospetto di una cattedrale che svetta imponente contro il cielo di ottobre. Piccolo gruppo per un’escursione impegnativa: quasi 1500 metri di dislivello ci separano dal tetto della Calabria. A valle ulivi, vigne e fichi d’india, sulle pendici faggete dalle infinite sfumature e in cima il regno degli imponenti pini loricati.
Ha ragione Guido Piovene quando nei suoi scritti “fotografa” le montagne calabresi e le descrive come un “paradosso paesaggistico, composizione surreale fatta di oggetti eterogenei e disambientati”. Ma in questo apparente contrasto tutto rimane coerente e, complice la luce, ci viene restituita l’essenza primigenia e seducente della bellezza
Un comodo sentiero ci avvicina alla vera anima del cammino, che percorre una ripida cresta immersa nella vegetazione. Di tanto in tanto un balcone roccioso si apre ed è come tuffarsi nell’infinito: la valle dell’Esaro, il presepe di Morano e l’autostrada si allontanano sempre di più. Dopo tre ore di cammino la cresta ci conduce al campo base dove ci rifocilliamo. Riprendiamo affrontando un lungo traverso che ci accompagna fino al cippo Grandinetti. Un attimo di sosta, un pensiero al nostro amico Leone e di nuovo in cammino.
Ci ritroviamo a procedere risalendo una frana, tra erba e ghiaia. Ai lati le pareti si stringono sempre più e gli ultimi pini loricati cedono il passo a un paesaggio lunare. Il gruppo procede lentamente, occorre fare attenzione a dove poggiare i piedi, le pietre potrebbero colpire chi sta sotto di noi. Faccio fatica, mi fermo spesso: molta cautela, uno sguardo a chi è prima e dopo di me, due chiacchiere con Vittorio, e si riprende fiato. Parliamo di montagne, di nomi e di metafore. In fondo, qui come nella vita, ognuno arranca lungo il proprio franoso ghiaione: l’unica certezza, ma spesso non lo ricordiamo, è che non si arriva in cima da soli, senza qualcuno con cui dividere desideri e difficoltà.
Il canalone si stringe e ci presenta uno stretto imbuto che superiamo con l’ausilio di un tronco. Dall’altra parte della clessidra di roccia ci accoglie la nebbia, le pareti si allargano e lo scheletro di un loricato dall’aspetto irreale sembra accoglierci nel regno della fantasia. Superiamo le ultime rocce e guadagniamo la cresta che ci accompagna alla cima. E forse, ma non saprei dire perché, ti senti migliore, apprezzi la fatica del cammino, posi lo zaino e ti siedi accanto agli altri, piantando la tua personale bandiera, quell’inespresso desiderio di compimento, la ferita che sempre ti accompagna e che consegni al cielo.
Raffaele Arcuri
Foto: Marco Garcea
Continuando ad utilizzare questo sito l'utente acconsente all'utilizzo dei cookie sul browser come descritto nella nostra Cookies Policy, a meno che non siano stati disattivati. È possibile modificare le impostazioni dei cookie nelle impostazioni del browser, ma parti del sito potrebbero non funzionare correttamente. Accetto Cookies Policy